Ragionando per analogia mi venne subito naturale pensare che, anche in una squadra di calcio, tra il numero 10 e il bomber c’era diversa roba in ballo.
Quelle con i numeri 10 e 9 cuciti sulle spalle sono le maglie più ambite, contese, quelle più ricorrenti nei sogni dei bambini, quelle più vendute.
La storia del calcio è costellata di storie e di uomini che hanno indossato quelle maglie.
Però, c’è un però; i giocatori più forti del mondo, le leggende immortali, hanno avuto cucito lo stesso numero, un solo numero, il 10.
Cito quelli che ho avuto modo di ammirare con i miei occhi: Pelè, Maradona, Platini, Zidane e Baggio.
Sono tutti giocatori che hanno indossato la fascia di capitano, sono tutti giocatori che hanno avuto un peso specifico enorme all’interno dello spogliatoio, sono uomini che hanno fatto la storia dei club dove hanno militato.
Storie di capitani, storie di calciatori carismatici, storie di numeri dieci.
Con le dovute proporzioni, anche a Grosseto abbiamo avuto un giocatore con queste caratteristiche (uso il “passato calcistico” perché per il Grosseto lui non è più).
Uno capace di convivere con le pressioni tipiche di quel ruolo, che ha saputo prendersene i meriti ma anche le responsabilità.
Un giocatore a cui sono state affidate le chiavi del centrocampo da chiunque abbia ricoperto il ruolo di allenatore negli ultimi sette anni…e non sono stati pochi.
Un giocatore che ogni anno, nonostante cambiassero due terzi dei compagni di squadra, ha saputo mantenere la leadership dello spogliatoio, con le buone e con le cattive.
Un giocatore che non si è mai risparmiato, neanche quando rimase solo in campo a calciare un rigore che nessuno voleva battere, un rigore che anni dopo è stato rivissuto nelle aule dei tribunali come un atto di grande coerenza e lealtà sportiva.
Lo ricorderò sempre fare ingresso in campo con la sua andatura tipica, sua, soltanto sua e di nessun’altro, come capita a tutti i più grandi.
Capello lungo e chiaro quindi ben riconoscibile, sempre con la testa alta, il culo a pizzo, la maglietta di fuori e i parastinchi scoperti.
Uno che in campo parlava e gesticolava come un direttore d’orchestra, il classico allenatore aggiunto.
Un uomo che ha saputo uscire dallo Zecchini tra i fischi e tra gli applausi con la stessa dignità.
Uno di quei giocatori per cui non esistevano”partitelle” neanche in spiaggia o sotto il cortile di casa, uno che quando giocava lo faceva con tutto il corpo, dalla testa all’anima passando per i nervi.
I nervi, il suo tallone di Achille è vero, ma in tutta onestà a me di lui garbava parecchio anche questo.
Anzi, proprio gli stessi nervi che gli costarono la fascia di capitano, mi fecero rendere conto di quanto, in realtà, quella fascia fosse comunque tatuata sul suo braccio.
Capitano senza fascia, roba per pochi.
Storie di capitani, storie di calciatori carismatici, storie di numeri dieci.
10 come il voto che gli do.
Grazie Gigi, buona vita!!!

T&GO

P.S.: grazie Giacomo per la “spinta”…

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