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Il viaggio, come tutti viaggi, è seducente, nonostante la destinazione. La luce del mattino colora di arancione la strada e il paesaggio che scorre ai sui lati. Entro in Maremma e la campagna è meravigliosa come il suo odore. Mi fermo a un autogrill sotto Capalbio e come scendo di macchina inizio a notare i primi segni dell’alluvione. A pochi metri un capanno è devastato, il fango inizia a farsi notare, in alcuni punti ricopre tutto. Prendo un caffè lo pago ed esco fuori a sorseggiarlo, ho come una smania di vedere dell’altro, non so il perché. Altra devastazione anche nel retro del Bar, è tutto fango, è tutto grigio. Una macchia gialla attira la mia attenzione, è uno splendido girasole, mi riscalda l’anima. Il tragitto da Capalbio ad Albinia è un crescendo d’angoscia. Lascio l’Aurelia ed entro in paese, ho appuntamento con Giacomo in un parcheggio dopo la ferrovia. C’è più traffico ad Albinia che sul raccordo anulare, la cosa sembra rincuorarmi, ma non sarà la sola. Sono in anticipo e mentre aspetto faccio da testimone ad uno spettacolo che non dimenticherò più per tutta la mia vita e che racconterò ogni volta che ne avrò occasione sperando sia contagioso. Un fiume di gente dai volti sereni e determinati, un’umanità brulicante, gravida di altruismo e smaniosa di solidarietà. Tutti in marcia verso quello strano bisogno di sentirsi più buoni, tutti in marcia verso quel sottile confine tra altruismo ed egoismo. Si, egoismo, perché negli occhi di ognuno di loro c’era la profonda convinzione che tutto stava accadendo con l’unico scopo di sentirsi profondamente ed intimamente migliori. Strano essere l’uomo. Quello che viene dopo non ci sono parole per descriverlo e neanche le cerco, qualsiasi tentativo di metterlo nero su bianco ne stuprerebbe il senso, violerebbe ulteriormente il pudore di quel podere ed il mio. Quello che posso esternare sono i paradossi che contraddistinguono certe catastrofi. Quei paradossi per i quali un cacciatore si da la pena di salvare una lepre ospitandola in casa sua per tre giorni o quella di un vicinato con cui neanche ci si scambiava più il buongiorno e che adesso ti ospita nella loro casa scaldandoti lo stomaco ed il cuore. La fine di quella giornata è contraddistinta da una doccia lunghissima, da una cena rilassata tra gli occhi stanchi di Giacomo e quelli da husky pieni di luce di Serena e poi, come non mai, dal morbidissimo e profondo letto. Non sono neanche le undici ma all’indomani c’è da concretizzare l’intuizione di Giacomo, ci sono da vendere le magliette per la beneficenza, quelle con lo slogan “La Maremma non affonda”. Lui che fin dall’inizio aveva avuto l’illuminazione che si poteva e doveva fare di più, che la gente della Maremma poteva ancora dare fondo alla sua generosità. Il mio, per te, è un grazie senza tempo e senza oblio. Come senza oblio deve restare quella terra e la sua gente, gli unici che posso regalarci un Natale migliore. Gli unici che sapranno tenere botta.

T&GO

P.S.: i ringraziamenti sono già stati fatti da Manuel a tutti voi che ci avete aiutato a concretizzare questo gesto, non starò qui a ripetermi, ma uno su tutti lo voglio citare perché rappresenta “quello che per me è nel giusto”. Ero con il TAV a piazzare le magliette all’entrata della gradinata quando ci si è fatto sotto un ragazzo che ne ha comprata una e se n’è andato. Mentre si allontanava, Enrico mi ha detto: “Otty, quello lo conosco, il calcio non lo appassiona, è venuto qui solo per lasciare il suo contributo in beneficenza”. Maremmani gente tosta.

Roberto Bongini