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Per anni ha vestito i panni del leader della tifoseria biancorossa e anche adesso, malgrado il tempo trascorso e il passato lasciato alle spalle, conserva il Grifone nel cuore. Simone Ceri, interviene sulla questione azionariato popolare e dopo aver aderito all’iniziativa, esprime il suo pensiero, come sempre in maniera schietta e diretta: «Ho scelto di partecipare perché è una pratica che trovo giusta, un’iniziativa corretta che anche in Inghilterra inizia ad essere molto diffusa. L’azionariato popolare concede la possibilità ai tifosi di essere parte di un progetto. Chiaro che con l’1% delle quote non ci possa essere grande potere decisionale, ma questo è normale – osserva Ceri -, l’intento però, non è focalizzato esclusivamente su questo punto, perché conta molto di più dire che ci siamo, ci teniamo e vogliamo bene all’U.S. Grosseto. Le potenzialità della società ovviamente non cambiano, perché 50mila euro sono una goccia in mezzo al mare, però l’azionariato popolare rappresenta un punto di forza per la tifoseria». Una iniziativa che, in ogni caso, al di là della bontà degli intenti ha subito diviso la piazza: «Grosseto purtroppo è una città povera, di soldi e di animo. In tal senso l’azionariato popolare rischia di essere un’arma a doppio taglio. C’è la possibilità di dimostrare che possiamo diventare una forza inaspettata, ma se non ci sarà il giusto numero di adesioni vorrà dire che andrà persa un’altra occasione per sostenere il Grosseto – osserva Ceri -. Quanto alle divisioni, si ha la netta impressione che qualcuno si esprima in maniera negativa a prescindere, solo perché l’idea, che è molto interessante, non l’ha avuta lui. Onestamente non vedo valide motivazioni dietro le quali nascondersi per una mancata adesione. Purtroppo in questo contesto c’è totale assenza da parte del tessuto imprenditoriale – conclude Ceri -, al punto che nemmeno tutti questi anni di Serie B e C, hanno modificato la sensazione che se va via Camilli, finisce tutto, senza aver costruito la minima alternativa».

Lorenzo Falconi