L’immagine di una curva che, nonostante una sonora sconfitta, continua a cantare esibendo una sciarpata che farà il giro del web.
Buttare la palla fuori per consentire ad un goffo medico di entrare in campo con uno spray miracoloso e resuscitare in tre secondi un uomo che poco prima si dimenava platealmente dal dolore.
Dispiacersi per l’infortunio dell’attaccante avversario più rappresentativo e pericoloso.
Rilasciare interviste tutte uguali, dove il mister ha sempre ragione, i compagni di squadra sono tutti simpatici e l’operato dell’arbitro non viene mai messo in discussione.
In generale, tutto quello che è il fair play tanto ostentato dalla Fifa e dai predicatori della lealtà sportiva in Europa e nel Mondo.
Ecco, tutto questo ho scelto di non raccontarlo.
Un giorno, quando terrò sulle ginocchia mio nipote, il mondo che descriverò di aver vissuto e visto è un altro.
Gli confesserò tutto quello che non sono riuscito a capire di una passione che definire sport è riduttivo.
Gli confesserò che non ho mai capito come si faccia a cantare con la sciarpa in bella mostra mentre gli avversari ti calpestano un sogno; gli spiegherò che solitamente, tra una selva di bestemmie, smaltisco il nervoso di una sconfitta intorno al pomeriggio del martedì successivo.
Gli confesserò che non ho mai capito perché dovrei scegliere di essere complice di una sceneggiata ideata da un teatrante, che si contorce per terra come un soldato dilaniato da una bomba anti uomo; gli traccerò il confine di tutto ciò che è ridicolo.
Gli confesserò il perché nel mio intimo ho sempre colto con sollievo la notizia di un infortunio del bomber avversario.
Gli confesserò che non ho mai capito perché, in quasi tutte le interviste, il mondo del pallone deve essere sempre dipinto come la famiglia del mulino bianco, quando invece è noto che al Mister gli puzzano l’alito e le ascelle, il compagno di squadra guarda il culo alle mogli degli altri e l’arbitro è palesemente alterato, nella sua conduzione di gara, dalla ostinata infedeltà della consorte.
Gli confesserò che non ho mai capito tutta questa ricerca spasmodica del fair play; stucchevole e ipocrita.
Piuttosto cercherò di fargli cogliere l’inusuale giustezza di un bel fallo di reazione, l’ancestrale umana rabbia che segue una sconfitta e la parte dissacrante che esiste nella supplica guascona al Vesuvio affinché erutti in tutta la sua potenza.
Non sarò un buon nonno, ne ho consapevolezza e rassegnazione.
Sarò un vecchio, irascibile, scorbutico tifoso e, se fossi milanista, piuttosto di raccontare al nipotino le gesta epiche di Van Basten contro il Goteborg in una fredda serata milanese di vent’anni fa, descriverei la perfezione del gesto con cui George Weah, un sorprendente calciatore rubato all’atletica, chiuse il conto, nel doppio confronto con il capitano bandiera del Porto, Jorge Costa, lasciandolo sdraiato nel tunnel degli spogliatoi, con il naso rotto, a riflettere sul senso della vita.
One thought on “Il vecchio e il nipote”
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Ed io, caro Roberto, sono come te..divento un demonio quando vedo certe cose, perché una partita é tale e non una scampagnata tra amici,mai gioca per vincere ed il fine giustifica i mezzi, e poi,col Grosseto, voglio vincere, sempre e dovunque..Figuriamoci fare i play out.. Ho fatto i play off, persi coi ciociari, scippati a Grosseto col rigore negato a Cipolla da D’Amato di Barletta, Allegri in panca.. Figuriamoci se ci penso..Voglio, anzi rivoglio la B, voglio vincere a Livorno, senza Celi da Campobasso, voglio stendere ancora Palazzi, voglio sognare ancora e volare col mio Grifone!!! Ciao, Roberto