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Trastevere-Grosseto del 6 Settembre 2015 è stata la gara d’esordio della neonata F.C. Grosseto con 120 tifosi giunti dalla Maremma. Per l’incontro casalingo successivo, Grosseto-Nuorese del 13 Settembre si contavano circa 2000 presenze allo Zecchini. Un anno dopo, stesso campionato e stessa maglia, il Grosseto esordisce in casa contro la Fezzanese: incasso raddoppiato e devoluto ai terremotati, ma appena 500 spettatori (non tutti paganti). Domenica scorsa, prima trasferta del secondo anno di Pincione i tifosi che seguono la squadra a Sestri Levante sono circa 30.

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Non serve una laurea in matematica per tirare le somme. I tre quarti di quelli che credevano nella Società non ci credono più. Numeri impressionanti considerando che l’anno passato il Grosseto si è classificato secondo appena dietro la Viterbese-Castrense, in posizione privilegiata per la griglia play-off. Numeri che non possono dipendere esclusivamente dal mancato risultato sportivo ma che hanno delle ragioni più profonde e più preoccupanti. Quelli che mancano all’appello, e sono così tanti che non basterebbero dieci anni di “Chi l’ha visto” per trovarli tutti, sono quelli che non ne vogliono più sentir parlare. Non stanno né dentro né fuori, non stanno sui social ad offendere o ad essere offesi, non fanno proclami o invettive. Sono quelli che si sentono traditi ma che non hanno perso tempo a trovare un’alternativa. Sono quelli che si sentono raggirati a tal punto che, semplicemente, hanno tolto il disturbo.
Se la Tribuna boccheggia la Curva Nord è già pronta per l’estrema unzione ma non si vuole o non si riesce a capire.
Il calcio a Grosseto è stato nuovamente ucciso, i tre quarti della potenziale tifoseria fucilati a freddo. Non serve a niente provocare o rispondere alle provocazioni dei gruppi, più o meno numerosi, o dei singoli. E’ evidente che una città intera non crede più e che la fiducia è irrimediabilmente persa. Per cosa si gioisce o si esulta se non c’è più fiducia nel futuro? Quanto può contare essere in vetta ad una classifica senza avere la tranquillità di un progetto e di un obiettivo condiviso? Qui non siamo in Serie A, non c’è Sky e non ci sono le multinazionali a muovere la scena: le serie minori si reggono solo se c’è un profondo e incontrovertibile legame tra società, territorio e tifosi. Bisogna essere abili a tessere questo legame più di quello sportivo che da vita alla squadra.

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Su questo bisognerebbe riflettere prima di parlare. Piuttosto che inscenare teatrini tragicomici ad ogni intervista, abbassando ulteriormente il livello della “disputa”, sarebbe forse il caso di realizzare che tre quarti della tifoseria si è dileguata. Persone normali, comuni, che magari venivano allo stadio con i figli o con i padri per passare una giornata diversa tifando la squadra della propria città. I numeri parlano davvero chiaro e raccontano di un clamoroso insuccesso al quale non c’è né volontà né spirito di provare a porre rimedio.
Buon campionato povero Grifone, mai così solo e spennacchiato come sei oggi.

Giacomo Spinsanti