Loading. Please wait.

Osservavo le loro espressioni.
C’era chi gridava, chi restava a bocca aperta e chi cercava di calmare il pianto di un bambino impaurito.
Devo dire che nella mia vita ho spesso rivolto lo sguardo da un’altra parte, nella “zona d’ombra”.
Anche allo stadio difficilmente resto attento al vivo dell’azione.
Mi ritrovo a osservare quello che succede sugli spalti, oppure ai bordi del campo o nella zona cieca alle telecamere.
A volte seguo per minuti interi i movimenti di un calciatore ed ho come l’impressione di spiarne le verità, di capirne gli stati d’animo.
In campo sono “zone di luce” l’esultanza egoista dopo il gol, la corsa e gli abbracci scomposti sotto la curva, nello stesso istante restano “zone d’ombra” la solitudine carismatica del portiere o il Mister che, invece di lasciarsi andare alla gioia, nell’esilio del bordo campo, ne approfitta per tentare di zittire le proprie ansie urlando consigli non ascoltati.
C’è più profondità quando osservi senza essere visto, una profondità vera, quasi intima.
Si capiscono cose osservando le “zone in ombra”.
Dalla mia “zona d’ombra” spio, lieto e pago, il Muro che riprende la frivola consuetudine del mondano calciomercato e la morbosa necessità piromane di appiccare polemica.
Nella “zona d’ombra” di una paura che ci ha scoperto coraggiosi, inaccettabile da accettare e realmente irreale, mi sono nuovamente innamorato di questa maglia, dai trasversali colori sociali e dal fascino antico e di questa gente, severa e selvatica come la terra con cui si imbrattata e si lega.
Prematuro parlare di calcio giocato, la sconfitta non può far male, degustando la vittoria di Davide su Golia.
Ancora fermi a quel 22 Agosto.
Pericolosamente ebeti e felici.

Roberto Bongini