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“Io vado a Colonia, per Italia-Danimarca, alla fina della partita scavarco e prendo a majetta ar Principe!!! Ce scommettete che lo faccio sur serio!!! Parola der FRAGOLA!!!”.
Giuliano, detto il Fragola (per una volta che durante una festa in maschera si presentò vestito da fragola?!?!?!) lanciò questa provocazione, a tutto il gruppo Funky, con aria di sfida.
Ebbi subito la certezza che lo avrei aiutato in questa sua impresa per l’amicizia che ci legava e che tuttora ci unisce, ma soprattutto perché quella sfida era intrisa di vita.
Saremmo dovuti partire in macchina da Roma alla volta di Colonia, trovare il modo di entrare allo stadio, aiutare il Fragola nella sua personalissima invasione a fine partita e poi …… buona vita!!!
Dopo quella sua dichiarazione la maggior parte del gruppo esternò il proprio dissenso e la propria incredulità, lo scetticismo serpeggiava tra gli amici.
Insieme a me subito si fecero avanti altri due volontari, Enrico e Dino.
Quindi, secondo il suo personalissimo modo di vedere le cose, Giuliano disse: “Ah regà è fatta!!! Famo na macchinata da quattro, steccamo le spese della benzina e der casello, tanto Colonia è subito dopo er confine cò a Svizzera, sfonnamo i cancelli de oh stadio, menamo a dù cellerini crucchi (tanto quelli nun so abituati a vedè scavarcà) pìo a majetta ar Principe e poi trovamo da dormi, sennò dormimo in macchina o sotto i ponti!!! Annaaaaamo a caricà ooohhh ooohhh!!!”.
In verità le cose non erano proprio così come le aveva descritte Giuliano.
Il primo problema da affrontare era con quale macchina andare, il secondo problema era capire precisamente deve era e come arrivare a Colonia, il terzo problema era che la polizia tedesca non era affatto morbida, il quarto problema era dirlo ai genitori e il quinto era Dino, un cacacazzi di prima categoria, logorroico, per di più molto oculato quando metteva mano al portafogli ma soprattutto era una “guardia” ….. di professione faceva il poliziotto.
Come consigliano tutte le persone sagge, affrontammo un problema alla volta.
foto5Decidemmo che la macchina più adatta alla spedizione era quella di Dino, una Regata Station Wagon bianca con tutti e due i fari anteriori con i vetri incrinati….tanto lui diceva che essendo un poliziotto nessuno gli avrebbe fatto la multa….si sa tra colleghi….
Colonia, che secondo Giuliano era la prima città tedesca che incontravi dopo il confine con la Svizzera, in realtà era talmente a Nord da essere quasi al confine con l’Olanda, ma di questo non ci preoccupammo più di tanto perché sempre secondo la tabella di marcia del Fragola in poco più di dodici ore (partendo da Roma?!?!?! Beata gioventù!!!) sarebbe stato nel fossato dello stadio ad aspettare la fine della partita per la sua invasione solitaria.
La polizia tedesca avevamo ipotizzato che avesse con se allo stadio, come da migliore tradizione SS, delle unità cinofile, quindi a Giuliano, una volta entrato in campo, gli sarebbe bastato raggiungere con uno scatto un calciatore qualsiasi per evitare l’utilizzo dei cani, che non sapendo quale sarebbe stata la persona da mordere avrebbero potuto aggredire anche un atleta.
I genitori ci dettero il loro benestare, più o meno entusiasticamente…più meno che più…
Mia madre per esempio non sapeva neanche dove fosse Colonia, quindi aspettò mio padre prima di sbilanciarsi con un “ni”.
A proposito delle conoscenze geografiche di mia madre, ricordo che l’estate prima avevo conosciuto una ragazza di Lione durante l’ennesima vacanza in Spagna e più precisamente a Playa D’Aro in Costa del Sol.
A settembre mi venne in mente di partire con un mio amico per andarla a trovare.
Quindi, quando tornai a casa, dissi a mia madre, con molta naturalezza, come se stessi parlando di Fregene:”Mamma, domani vado a Lione per un paio di giorni, svegliami alle sette, grazie…”.
Lei, che si immaginava Lione come una località nei dintorni di Roma non batté ciglio, anzi la mattina del giorno seguente mi fece trovare anche un dolce per fare colazione con i miei amici di viaggio.
E’ sempre stata una madre premurosa ma facilmente aggirabile per le sue scarse conoscenze geografiche.
Ma torniamo alla partita, il fischio d’inizio si sarebbe tenuto mercoledì sera (…17/06/1988…) alle venti e quarantacinque, quindi decidemmo di vederci alle sei del mattino dello stesso giorno.
Era l’estate del 1988, anno in cui si disputarono gli Europei di calcio in Germania, manifestazione il cui epilogo ma soprattutto apice fu “IL GOL” di Van Basten che firmò, durante la finale, la vittoria dell’Olanda sulla Russia per due a zero.
Ripeto “IL GOL” di Van Basten!!!
Si perché fu il gesto tecnico più perfetto che la mia generazione di amanti del calcio abbia mai visto con i propri occhi.
Era anche l’anno in cui la Polonia era in fermento per Solidarnosc, in Francia veniva eletto Mitterand, mentre Reagan e Gorbaciov si iniziavano a fare l’occhiolino ed il muro di Berlino iniziava a scricchiolare.
In Italia morivano Enzo Tortora e Giorgio Almirante e la mucillaggine aveva deciso di fare le vacanze sulla riviera adriatica…..nient’altro??? Ah si, dimenticavo che a quei tempi la politica in Italia era fatta da alcuni personaggi di nome Craxi, Andreotti, La Malfa e Occhetto e che quindi andava tutto bene, molto bene….
Noi eravamo un gruppo di amici di età compresa tra i venti e i venticinque anni, avevamo tutti preso o rapinato il diploma, ma nessuno aveva avuto la faccia tosta di iscriversi all’università.
Chi più e chi meno avevamo trovato anche un lavoro con cui pagare i nostri capricci.
Ci chiamavamo “Gruppo Funky”, semplicemente perché la musica che amavamo era il Funky, che a quei tempi si chiamava Earth Wind and Fire, Commodors, Cameo e compagnia cantante.
Giuliano era molto alto e snello, con capelli lunghi e neri che solitamente ingelatinava e legava facendosi la coda.
Era quello che solitamente la gente definisce un “bel ragazzo”.
Professione carrozziere o come amava definirsi lui “estetista delle quattro ruote”.
I tratti predominanti del suo carattere erano un fortissimo senso dell’amicizia, la generosità, la lealtà e la sua impossibilità a controllare tutta la vita che gli scorreva nelle vene.
Era un amante dell’attività fisica, delle donne e delle risse, ma soprattutto amava mettersi alla prova, caratteristica che con l’andar del tempo ha maturato ed ha scoperto tornargli utilissima nella vita.
Quella stessa caratteristica che alcuni dei nostri genitori (ci tengo a precisare non i miei che adoravano Giuliano) non tolleravano e che invece, tra le righe, già presagiva quella che sarebbe diventata la peculiarità vincente del suo carattere.
Tutto ciò che faceva, cercava di renderlo estremo, originale ed unico, anche le cose più semplici.
Un esempio per tutti, una sera doveva venire a casa dei miei genitori per vedere una partita della nazionale e mentre io, Enrico e mio padre eravamo in salotto a gustarci il pre-partita, dalla cucina sentimmo urlare mia madre.
Era per via di Giuliano che aveva deciso di non citofonare (troppo poco originale e estremo), ma di entrare in casa, arrampicandosi fino al primo piano, dalla finestra della cucina e piombare all’improvviso davanti a quella santa donna di mia madre che dallo spavento invecchiò di dieci anni.
Enrico aveva il classico fisico del nuotatore, sport che aveva praticato con discreti risultati fin dall’età di 5 anni.
Naso a porcellino, moro, capelli cortissimi che anche lui amava scolpire con generosissime quantità di gel, nel complesso un altro bel ragazzo.
Professione assicuratore e quindi non si poteva certamente definire un tipo introverso.
Dotato di un grande senso dell’amicizia, generoso e leale.
Anche lui pazzamente innamorato della vita.
Grande amante della cucina (compreso il vino) e di conseguenza ottimo cuoco.
Due grandissimi amici con i quali non mi sono mai perso di vista, e che tuttora rivestono un’importanza fondamentale nella mia vita, oltre ad impegnarmi fisicamente una volta a settimana in partita di calcetto e successiva pizza.
Non ho difficoltà ad ammettere di essere stato molto fortunato nelle amicizie durante tutta la mia vita, ma loro due stanno, da sempre, sul podio dei miei affetti.
Ah, stavo per dimenticarmi di Dino!!!
Un ragazzo con occhi sporgenti e lineamenti marcati.
Professione, come vi ho già detto, poliziotto.
Molto attento alle proprie finanze, logorroico, polemico ma soprattutto con un’ottima mira……un cecchino specializzato in testicoli!!!
Ho sempre pensato che la pistola che aveva in dotazione la utilizzasse come un prolungamento del proprio membro, una specie di sostegno psicologico (è proprio il caso di dire) sempre a portata di mano.
L’unico pregio era la sua agilità e prontezza di riflessi nel difendere la nostra porta durante i tornei di calcetto.
D’altronde in un gruppo ben fornito non possono mancare personaggi simili, cinicamente utilizzati a turno da ognuno di noi, come antistress e valvola di sfogo.
Mi ricordo che la mattina della partenza, quando la sveglia suonò alle cinque, un buonissimo profumo di caffè arrivò dalla cucina, mia madre era già sveglia appositamente per prepararmi la colazione e per darmi le solite raccomandazioni: “Robertino, amore di mamma, mi raccomando andate piano, telefonami quando arrivi e soprattutto non fate gli sciamannati!!!” e poi dopo la solita pausa ricominciava con il solito paragone con mio fratello: “Claudio queste preoccupazioni non me le ha mai date, siete così diversi, secondo me ti hanno scambiato in clinica, non sei figlio nostro, ma di qualche famiglia di brucia-pagliai!!!”.
I sui modi di dire tipicamente toscani rendevano i sui rimproveri sempre poco credibili e molto somiglianti a delle macchiette.
Finii la colazione, lasciai mia madre che continuava a parlare da sola in cucina, mi feci una doccia fresca, presi la mia mini-valigia e finalmente uscii di casa senza neanche aspettare che il Fragola e gli altri mi citofonassero.
Adesso vi attacco il pippone!!!
L’aria, nonostante fosse estate, era piacevolmente fresca e il cielo era alto e terso.
Aspettai l’arrivo della regata SW bianca con impazienza, avevo voglia di urlare al mondo intero la nostra sfida.foto2
Non credo di essermi mai sentito così sveglio a quell’ora del mattino, sia nel mio periodo scolastico che in quello lavorativo ho sempre carburato a mattino inoltrato.
Forse perché ogni volta che partivo per un viaggio con i miei amici, facevo come una specie di training autogeno che consisteva essenzialmente nel cancellare dalla mente tutto ciò che era ruvido e torbido per lasciare scivolare la vita nelle mie vene senza resistenze.
In altre parole, gettavo lontano le zavorre quotidiane, e lasciavo che la mia mongolfiera prendesse quota lentamente ma inesorabilmente.
La prima cosa che cambiava radicalmente era il punto di osservazione.
Prima di salire sulla “mongolfiera” tutto era molto più ravvicinato e in qualche maniera soffocante, dopo tutto era ordinatamente disposto in un orizzonte ampio e ventilato.
Mentre ero assorto in quei pensieri, vidi la SW svoltare all’incrocio che portava a casa mia, l’attesa era finita, da quel momento in poi dovevo solamente dilatare al massimo i pori della mia pelle e sobbarcare di lavoro la mia capacità mnemonica, che non è altro che una specie di privatissima videoteca dedicata ai momenti speciali.
“Bella Bongio!!! Che t’ha dato tu madre da magnà?”.
Fragola, un esemplare umano da un metro e novantadue, sentiva già appetito.
Posai la valigia nel bagagliaio e tirai fuori una bella fetta di ciambellone di mamma Aurora.
Entrai in macchina, nel sedile posteriore, dietro al guidatore, dove al mio fianco trovai Enrico intento a rollare uno spinello, mentre Dino già era in preda al suo trans logorroico.
Guardai Enrico e Giuliano e mi accorsi che, come al solito, nessuno dei due lo stava ascoltando e, come al solito, lui non si era accorto di niente oppure, semplicemente, ingannava se stesso…
Infatti, dopo le prime avvisaglie di quella che io definisco la “patologia del cittadino”, si perché tra la gente di provincia non mi è mai capitato di trovare persone affette da tale malattia, affinammo, per istinto di sopravvivenza, un’autodifesa che in sostanza consisteva nel limitarsi, durante le rarissime pause che Dino si prendeva per non morire asfissiato, a commenti generici che calzavano a pennello su qualsiasi tipo di conversazione e argomento, tipo: “Uhmm ai ragione”, oppure, “Ehh d’altronde che ci vuoi fare…” senza avere la benché minima idea di che stesse dicendo.
“Ah Dino inizia a guidare piano altrimenti ci fumiamo solo il filtro!!!”, Enrico, nonostante la sua abilità nel rollare le canne, alla prima curva stile Starsky e Hutch di Dino, perse un terzo del tabacco tra i sedili che già portavano i segni di antiche bruciature Giamaicane e Pakistane che si andavano a unire a macchie di origini ignote e che preferivo restassero tali.
A proposito di spinelli, credo che i miei genitori abbiano sempre saputo che io in quel periodo fumavo, ma abbiano sempre evitato di affrontare il discorso per divergenze di opinioni all’interno della loro coppia.
Infatti per mia madre un ragazzo che fumava gli spinelli era da affidare immediatamente alle mani di Muccioli, alla stessa stregua di un eroinomane, mentre per mio padre era consigliabile, semplicemente, non farne utilizzo o farne ma moderato.
Nel nostro gruppo c’era chi fumava abitualmente la propria noia, chi fumava in occasioni speciali e chi non fumava neanche le sigarette.
L’eroina, che qualcuno ha definito come il Vietnam degli anni ottanta, non ha mai avvelenato una goccia del nostro sangue.
Avevamo tutti, o quasi, un manciata di punti fermi e degli ottimi angeli custodi che ci hanno impedito di svoltare in vicoli ciechi.
Ci facevamo le canne, ma ci piaceva il vino, il mangiare bene, frequentare ragazze e praticare sport, ci piaceva tornare a casa per “ritrovarsi”, ma soprattutto ci piaceva la vita.
Il viaggio proseguì senza scossoni particolari fino al confine con la Germania.
Unica osservazione di rilievo, alla frontiera tra l’Italia e la Svizzera, dove ci fecero passare senza neanche fermarci per il controllo dei documenti, Dino non seppe resistere alla tentazione di farsi due chiacchiere con i colleghi…..due chiacchiere??? Dino non è capace a farsi DUE chiacchiere ma ha un tetto minimo di almeno duecento chiacchiere e quindi riprendemmo la marcia verso Colonia lasciandoci alla spalle tre finanzieri con le orecchie sanguinanti che si stavano infliggendo pene corporali alla Tafazzi.
Ma torniamo al confine tra la Svizzera e la Germania, raggiunto attraverso dei panorami bellissimi.
Montagne spettacolari con piccole cascate che con secolare pazienza affrontano il quotidiano percorso verso valle e come non parlare delle muccarelle con l’immancabile campanaccio al collo, gli occhi dolci e i nasi morbidosi e poi ancora montagne spettacolari con piccole cascate che con secolare pazienza affrontano il quotidiano percorso verso valle e come non parlare delle muccarelle con l’immancabile campanaccio al collo, gli occhi dolci e i nasi morbidosi e ……… e dopo un po’ ti vengono due coglioni!!!
Per fortuna arrivammo alla frontiera in breve tempo, eravamo in perfetta tabella di marcia, ore 13,00 Germania!!!
Ci mettemmo in fila per il controllo dei documenti, le poche macchine che ci precedevano erano tutte con targhe tedesche e osservando la fluidità con cui scorrevano davanti a questo check point mi accorsi che anche i finanzieri svizzeri (…ma non erano tra i popoli più precisi del mondo???) non avevano nessuna voglia di controllare un bel niente.
Le ultime parole famose!!!
Quando arrivò il turno nostro Dino rallentò a passo d’uomo e accostò di fianco al gabbiotto dove stavano seduti due finanzieri svizzeri.
Aspettammo, come per le macchine che ci avevano preceduto (ripeto con targhe tedesche), un cenno che ci facesse capire che potevamo tranquillamente proseguire il nostro viaggio, ma quel gesto non arrivò mai…
Uno dei due finanzieri, quello con le caratteristiche somatiche meno rassicuranti, si alzo in piedi e fece per venirci incontro:
– carnagione color latte,
– capelli biondissimi e cortissimi con basette inesistenti,
– barba folta sempre biondissima,
– sguardo truce di colore azzurro,
– fisico alla Maurizio Costanzo,
– divisa pulitissima e stiratissima.
…..insomma uno svizzero modello, proprio come nel film “Pane, amore e cioccolata.”.
La prima cosa che guardò fu la targa ROMA, poi subito dopo, infilò la testa attraverso il finestrino lato guidatore e ci squadrò uno ad uno con aria stranamente ironica.
Fece un giro minuziosamente completo intorno alla macchina e tornò ad affacciarsi al finestrino.
Ci squadrò nuovamente con aria ancora più ironica…sembrava quasi felice, ma di quella felicità sadica che soltanto i cacacazzi veri sanno apprezzare.
Tornò nuovamente a fare un giro completo della macchina, ma questa volta invece di rinfilare quella grandissima testa di cazzo dentro il finestrino, si immobilizzò con lo sguardo fisso sui due fanali anteriori.
Il sangue ci si gelò nelle vene, mancava solo in sottofondo una musica alla Ennio Morricone, lui che attraverso il parabrezza ci guardava con infinito sadismo e noi, come quattro coglioni, ad aspettare l’inevitabile che non tardò ad arrivare.
– “Ittaliani?”
– “No, lapponi….sei perspicace coglione!!!”, avrei voluto rispondere, ma sarebbe stato decisamente sconveniente in quel momento e quindi Dino rispose con l’aria di chi la sa lunga “Si, siamo italiani, di Roma, e ai em en italians polismens”, figurarsi se anche con lo svizzero non tentava l’approccio solito del “collega”, però forse stavolta tra coglioni chissà…..
– “Italian Policeman no good!!!” rispose il testicolone ariano.
– “SI, SI, SI, bravo testicolone c’hai ragione!!!” ma anche stavolta lo pensai solamente e dissi “Qual è il problema? Forse si riferisce ai fari anteriori che sono incrinati? Ma guardi che funzionano perfettamente sia anabbaglianti che abbaglianti.”
– “Fari rotti, no passare, tornare indietro!!!”
– “Si tornare indietro da tua moglie!!!” già lo sapete, lo pensai ma stavolta più delle altre fui vicino a dirlo…invece “Guardi, sia gentile, siamo partiti stamattina presto da Roma per andare a vedere la partita Italia- Danimarca a Colonia. Siamo appena dentro la tabella di marcia, le promettiamo che se ci fa passare a ritorno vedrà che avremo i fari nuovi di zecca. Per favore!!!”
– “Nein, fari rotti no passare, fari rotti tornare Italia!!!”
Svizzera uno, Italia zero.
Non lo mandai affanculo con la voce ma il mio sguardo sono sicuro che fu molto più eloquente delle parole.
Dissi a Dino che stava per tirare fuori il tesserino della polizia di stare zitto, ingranare la retromarcia e fermarsi alla prima area parcheggio che trovava.
foto4Stranamente seguì alla lettera e in silenzio le mie indicazioni, nel frattempo con Giuliano e Enrico ci domandavamo cosa era meglio fare.
– “Aspettiamo che finisca il suo turno di lavoro e poi riproviamo, chissà che con un altro non vada meglio…” propose Enrico.
– “Guarda che mancano sette ore e mezzo all’inizio della partita e più o meno 800 km a Colonia. Non sappiamo a che ora finisce il turno Huber (trovato subito il soprannome al testicolone biondo), potrebbe anche staccare tra 24 ore….” risposi io.
– “Ah Dino, c’e l’hai in macchina la guida di tutti gli auto-ricambi FIAT, in Italia e nel mondo?” Fragola con le sue braccia lunghe come tentacoli stava già frugando in tutti i vani porta-oggetti della macchina.
Dino indicò subito a Giuliano dove avrebbe trovato l’elenco degli auto-ricambi FIAT, ma osservò che vista l’ora era praticamente impossibile trovarne uno aperto.
Giuliano consultò velocemente l’elenco e poi esclamò: “Eccolo qui!!! L’ho trovato, sta a Basilea, che tra l’altro è la città più vicina alla frontiera, ed il proprietario è italiano. Daje Dino, spigni sull’acceleratore!!!”.
Non volevamo arrenderci, eravamo determinatissimi a proseguire il nostro viaggio e soprattutto desideravamo ardentemente averla vinta su Huber (il testicolone ariano…ogni occasione è buona per ricordarvelo!!!).
Arrivammo a Basilea intorno alle 14.00 e trovammo subito un signore molto gentile che ci spiegò come arrivare alla via che stavamo cercando, la fortuna sembrava sorriderci.
Nel giro di pochi minuti eravamo di fronte all’officina, che proprio in quel momento stava chiudendo per la pausa pranzo.
Scendemmo tutti e quattro dalla macchina che era ancora in movimento e corremmo verso il proprietario dell’officina e suo figlio, che mi sembrarono visibilmente impauriti nel vederci arrivare improvvisamente.
“Salve capo, parla italiano?” chiese Giuliano ansimando.
“Si, parlo italiano anche perché lo sono” rispose il proprietario.
“Meglio, così ci capiamo subito!!! Allora, noi stamo a annà a Colonia a vedè la nostra cara nazionale azzura. Uno stronzone de finanziere svizzero c’ha fermato alla frontiera perché c’avemo i fari anteriori funzionanti ma incrinati. Bene, ora lei ha due possibilità. La prima è quella che nun jene frega un cazzo de sta storia, chiude l’officina e va a magnà, l’artra possibilità invece è quella de aiutà quattro connazionali a arivà puntuali alla partita, ma soprattutto de nun dalla vinta a quello stronzone de svizzero. Che decide? Và a magnà, oppure entra nella storia?”
“Sono un lavoratore emigrato….e ad un lavoratore emigrato non capita spesso di entrare nella storia, quindi accetto. Però vi do soltanto i fari nuovi, ma ve li montate da soli perché da quando sono entrato nella storia m’è già venuto appetito….quindi vado a casa mangiarmi un bel piatto di pasta. Affare fatto?”
La nostra risposta fu un “SIIIIIIIIIIIIIIII!!!” unanime.
Il figlio riaprì in tempo record l’officina e nel giro di pochi secondi ci portò i due fari nuovi di zecca.
Pagammo il dovuto e, dopo aver salutato con calore la simpatica famigliola di emigranti, ci mettemmo subito all’opera.
Dino e Giuliano si occuparono del faro anteriore destro, mentre Enrico ed io del sinistro.
Bèh, non credo di esagerare se affermo che neanche il TEAM Ferrari avrebbe fatto più velocemente di noi, perché vi giuro che nel giro di qualche minuto la nostra vecchia cara Regata aveva i suoi nuovi splendenti fari al loro posto, un’azione degna di un vero e proprio Team di formula uno.
Ripartimmo per la frontiera in preda ad una vera e propria euforia, ora per rendere il quadro perfetto ci voleva soltanto che Dio facesse in modo di farci ritrovare Huber, con quella sua grandissima testa di cazzo, ancora diligentemente al suo posto.
Dopo una mezz’ora, nella quale Dino ci dette dimostrazione di come si guida una pantera della Polizia durante un inseguimento, arrivammo al confine e lì si materializzò il nostro sogno!!!
Dio aveva ascoltato le nostre preghiere!!!
Era lì davanti a noi, ancora intento a svolgere il suo lavoro in maniera meticolosa solo in funzione della targa della macchina che si avvicinava di volta in volta alla linea di confine.
Dissi a tutti di non dire niente e di comportarsi in maniera esemplare fino a quando non avessimo passato quello stramaledetto confine, poi, dopo, avremmo potuto dare sfogo a tutti i nostri istinti più bassi.
“Ecco tocca a noi…….” sussurrò Enrico.
Huber come ci vide fece di tutto per non farsi accorgere del suo grande stupore.
Gli si stampò in viso un sorriso amaro e con grande mortificazione ci fece cenno con la mano di proseguire.
Svizzera uno, Italia uno…..PAREGGIO al novantesimo!!!
Trattenemmo il respiro per una ventina di metri poi dissi a Dino: “ Fermati!!! Ora , in mezzo alla strada !!!”.
Scendemmo tutti dalla macchina e nei trenta secondi che seguirono urlammo ad Huber di tutto, mentre lui ci guardava impietrito.
Credo che se un giorno questo racconto diventasse un film, questa scena sarebbe censurata oppure l’audio sostituito da un interminabile “beeep”.
Svizzera uno, Italia due e ….. , mi dispiace per te, grandissima testa di cazzo, triplice fischio finale dell’arbitro!!!
Addio carissimo Huber, e ci tengo a dirti che anche se in quel momento ti ho odiato, adesso, a distanza di anni ti confido che ti voglio quasi bene, ma soprattutto, ti volevo ringraziare per tutte quelle volte che, ricordando con gli amici questo viaggio, o semplicemente ripensandoti nei miei momenti di desiderata solitudine, mi hai fatto sorridere con un pizzico di malinconia.
Ah, dimenticavo, abbi sempre cura della cosa più preziosa e rara che possiedi, la tua grandissima testa di cazzo!!!
Ma bando ai sentimentalismi e torniamo al viaggio.
Eravamo finalmente in Germania.
Giuliano fece subito un veloce calcolo per capire a che velocità dovevamo viaggiare per arrivare in tempo allo stadio.
Mancavano poco meno di ottocento chilometri ed erano le 15.00, la partita iniziava alle 20.45 e quindi la velocità di crociera doveva essere di circa 160 KM/H.foto3
“Ma le autostrade tedesche sono sempre minimo a quattro corsie e poi in Germania non esistono limiti di velocità” precisò il Fragola.
Il viaggio continuò tra una risata e l’altra sempre con il volume dello stereo alto e con musica, ovviamente funky.
La prima cosa strana che ci successe è la seguente; nei primi 100 Km di autostrada tedesca avevamo incontrato almeno una decina di uscite con l’indicazione “AUSCHBAND” tant’è che Giuliano esclamò “Ma quanto è grande la città di AUSCHBAND, e poi la cosa più strana è che non la riesco a trovare sulla cartina!!!”.
Successivamente il mistero ci fu svelato da un benzinaio che ci spiegò che “AUSCHBAND” in tedesco voleva dire “USCITA” …… prima figurissima di merda!!!
Verso le 18.00 ci rendemmo conto che eravamo in perfetta tabella di marcia.
Le autostrade tedesche erano davvero, come aveva detto Giuliano, molto scorrevoli e per quando riguardava i limiti di velocità, pur mantenendo costantemente i 160 Kh, venivamo sorpassati costantemente da BMW e Mercedes che sfrecciavano a oltre 200 Kh.
L’emozione della partita iniziò a farsi sentire.
Giuliano ci disse che aveva preparato, a nostra insaputa, uno striscione con su scritto “Gruppo Funky presente” e che si era portato alcune sciarpe della Roma per fare a scambio con quelle danesi.
La stessa cosa avevamo fatto io Enrico e Dino, l’unica cosa che cambiava erano i colori sociali delle squadre di appartenenza.
Io avevo sciarpe del Milan, Enrico della Juve e Dino della Lazio.
Durante l’ultima sosta in una carinissima stazione di servizio, legammo una bandiera tricolore sopra il tetto della macchina e appendemmo tutte le sciarpe ai finestrini.
Quando ripartimmo, con la macchina tappezzata di sciarpe e tricolori, ogni crucco che ci sorpassava suonava il clacson sorridendoci.
Ma io in quei sorrisi ci ho sempre trovato un velo di compassionevole simpatia che mi faceva intravedere un sentimento di superiorità…..o forse sto esagerando? boh…
Sono sempre stato convinto che nelle nazioni che sono state testimoni di importanti fenomeni di immigrazione questo tipo di atteggiamento sia consueto.
Anche noi italiani nei confronti del popolo zingaro, albanese e nordafricano abbiamo fatto lo stesso.
Sono convinto che un sentimento razzista covi in ognuno di noi, ma sono altresì convinto che la differenza tra l’uomo e la bestia sia proprio nel saper controllare l’istinto a favore della ragione.
Comunque, tra un sorrisetto e l’altro, arrivammo a Colonia intorno alle 20,15.
Trovammo subito lo stadio, anche perché era situato fuori dal centro urbano.
Il parco in cui era immerso l’impianto sportivo era molto curato.
La gente si affrettava verso le entrate e dai cori s’intuiva che lo stadio era già stracolmo.
Arrivati all’entrata ci ricordammo che non avevamo, per la fretta, neanche telefonato una volta alle nostre famiglie durante tutto il tragitto, ma ormai era troppo tardi e soprattutto eravamo troppo vogliosi di entrare allo stadio.
Arrivammo al botteghino e gli unici biglietti disponibili erano quelli di tribuna, la cosa ci disturbò, non tanto per il costo del biglietto che era più alto, ma soprattutto perché noi volevamo andare in curva con tutti gli emigranti.
Perché era lì che la gente viveva la partita e perché erano lì i colori e i sapori della nostra terra.
Quindi con in mano i biglietti di tribuna ci incamminammo verso l’entrata della curva.
Arrivati all’ingresso trovammo un addetto alla sicurezza che controllava i biglietti, giuro assomigliava così tanto ad Huber che poteva essere tranquillamente il fratello gemello!!!
Ma la vera sfortuna fu, che oltre ad assomigliargli fisicamente, ebbe lo stesso atteggiamento della nostra indimenticabile grandissima testa di cazzo.
– “No possibile entrare curva, andare in tribuna”
– “Ti prego, per favore veniamo da Roma, abbiamo 14 ore di viaggio sulle spalle, abbiamo pagato il biglietto anche più caro, facci entrare in curva con i nostri connazionali!” lo implorammo.
– “Nein, nein nein, conosco voi italiani sempre casini!!! Adesso andare via che si sta formando fila!!!”…..mamma mia che palle sti crucchi.
E in quel momento ci furono le quattro proposte che ricalcavano esattamente le nostre quattro diverse personalità.
Dino: “Gli dico che sono un poliziotto italiano, gli faccio vedere il tesserino cosi ci fa entrare!!!”.
Ma come pronunciò queste parole, un coro di parolacce lo fece desistere dal suo intento.
Enrico: “Diamogli un po’ di soldi ….. corrompiamolo!!!”
Io: “Fatemi provare a parlare con lui, posso convincerlo…”
Giuliano: “Mettetevi in fila dietro di me ed, al mio segnale, correte in curva il più velocemente possibile….”
Non sapevamo che cosa avesse in mente, ma lo stadioo era terreno suo e non potevamo non fidarci.
Giuliano si mise in testa al gruppo e si riavvicinò al fratello di Huber.
Arrivato il suo turno, con noi ben serrati dietro di lui, ricominciò a implorare il crucco di farci entrare e all’improvviso gli dette uno spintone che lo fece cadere con il culo per terra.
E…. viaaaaa, dentro lo stadio a gambe levate!!!
Salimmo le scale che portavano in curva in un batter d’occhio, e altrettanto velocemente ci confondemmo in mezzo al pubblico.
Anche questa era fatta, cari i miei fratelli Huber!!!
Mentre riprendevamo fiato ci accorgemmo dello spettacolo che avevamo intorno.
Una curva piena di italiani, tutti con un inequivocabile viso da emigrante (nelle rughe che solcano certi volti c’è scritta la sofferenza di un popolo che ha lasciato ciò che di più caro la vita ti offre, per un lavoro, in terra straniera, che nessuno vuol fare) e tutti vestiti con una maglietta azzurra.
Campanacci, trombette, tamburi e macchinari inquietanti composti da batterie di macchine collegate a tutto ciò che può fare baccano.
Ne avevo una vicino che quando veniva messa in funzione suonava un clacson sbatteva dei piatti e faceva muovere delle forchette e dei cucchiai che sfregando tra loro facevano un rumore infernale.
Semplicemente geniali, la loro fantasia e la loro creatività, tipica dei popoli mediterranei, non erano state minimamente scalfite dall’amaro che avevano in bocca e nei loro cuori.
Giuliano, insieme ad Enrico, sistemò accuratamente lo striscione e, dopo neanche 5 minuti, già avevamo socializzato con tutti quelli che ci sedevano intorno.
Raccontammo subito che venivamo da Roma e quali fossero le intenzioni di Giuliano a fine partita.
Uno, fra gli emigranti che sedevano vicino a noi, saputa la notizia urlò rivolto verso gli altri settori della curva: “Guagliò, questi vengono da Roma e lo stampellone a fine partita vuole invadere per prendere la maglietta a Gannini!!!”.
L’effetto di queste parole non tardò a vedersi.
Nel giro di pochi secondi tutta la curva ci conosceva e iniziarono ad avvicinarsi persone che ci offrivano panini con la mortadella, fiaschi di vino e forme di pecorino, il tutto rigorosamente italiano.
Commovente e allo stesso tempo imbarazzante, questa partita non poteva iniziare sotto miglior auspicio.
Quando entrarono le squadre in campo, la curva esplose in un boato di urla e in una pioggia di coriandoli coloratissimi.
La partita andò benissimo, anche perché vincemmo per due a zero sulla Danimarca, con gol di “Spillo” Altobelli e De Agostini.
Durante l’incontro in curva continuò la festa e la processione delle offerte alimentari.
Nei novanta minuti socializzammo molto con Lillo, un ragazzo calabrese che lavorava a Colonia da più di dieci anni, ed avendone 24, se la matematica non è un opinione, era emigrato dall’età di 14 anni!!!
Quando mancavano circa 15 minuti al fischio finale, Giuliano si allontanò per avvicinarsi al fossato che divideva le tribune dal campo di gioco.
Noi e tutto il resto della curva lo seguivamo con lo sguardo.
Scavalcò con facilità le inferiate che dividevano i settori della curva dalle tribune.
Arrivò alla gradinata più vicina all’ingresso degli spogliatoi e, quando mancavano pochi minuti alla fine della partita, si lasciò scivolare dentro il fossato.
Rimase immobile fino al fischio finale e poi con un salto si aggrappò all’ultima recinzione che lo divideva dal campo di gioco e, con l’agilità di un felino, si ritrovò sul tappeto verde.
Un gruppetto di poliziotti, che come avevamo ipotizzato avevano con se i pastori tedeschi, si accorse dell’invasore solitario, ma non fecero in tempo a fare niente perché Giuliano già stava a braccetto con Zenga e………IL PRINCIPE Giannini!!!
Dalla curva vedemmo Giuliano che parlava e scherzava con i due giocatori della nazionale, mentre i poliziotti ormai si disinteressavano completamente di lui.
Forse ce l’aveva fatta?
Si, proprio così, Giannini si tolse la maglietta e la dette a Giuliano che iniziò a correre all’impazzata sotto la curva dove noi lo stavamo aspettando a braccia aperte.
Ce l’aveva fatta!!!
Grande fratellone mio, ancora oggi, quando ripenso a quel momento, avverto la consapevolezza di quanto sono stato fortunato a vivere la mia gioventù al tuo fianco e a quello di Enrico.
Grazie amici miei, grazie per tutta la vita.
Con Giuliano ci rincontrammo fuori dallo stadio, aveva già indossato il suo prezioso cimelio e il suo sorriso era molto contagioso.
Con noi era rimasto Lillo, che ci teneva tantissimo a vedere la maglietta di Giannini da vicino.
Facemmo anche a scambio di sciarpe con i tifosi danesi, che anche in quella circostanza confermarono il loro spirito sportivo.
Lillo, nel frattempo ci aveva raccontato di essere proprietario di un piccolo e modesto albergo nel quartiere italiano a Colonia e insisteva in maniera ossessiva nell’invitarci a pernottare presso di lui.
Ci accorgemmo subito che un eventuale rifiuto da parte nostra gli avrebbe provocato molto dispiacere e comunque, visto che erano le 23.00 e non avevamo la minima idea di dove andare a mangiare e soprattutto di dove andare a risposare le nostre povere ossa, accettammo volentieri l’invito.
Mentre ci dirigevamo verso l’enorme e ben organizzato parcheggio dello stadio, passammo vicino a due cabine telefoniche e ne approfittammo per dare notizie di noi ai nostri cari.
Lì successe una cosa molto simpatica, infatti, i nostri genitori, già sapevano del nostro arrivo a Colonia, perché avevano visto inquadrato dalle telecamere della RAI, Giuliano che prendeva la maglietta numero 10 e correva verso la curva dove in primo piano si leggeva chiaramente lo striscione “Gruppo Funky presente!!!”.
Mi ricordo ancora le parole di mio padre: “Robertino, lo sa tutta Italia che siete arrivati a Colonia sani e salvi……la RAI vi ha fatto una serie di primi piani degni delle personalità che siedono in tribuna d’onore!!!”.
Quanta grazia!!!
La nostra impresa, oltre ad aver avuto successo, aveva avuto anche una cassa di risonanza di prim’ordine …… il primo canale della RAI, cioè quasi 15 milioni di telespettatori!!!
UAUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!
Arrivammo alla macchina che ancora avevamo gli occhi lucidi per le risate che c’eravamo fatti ad immaginarci le nostre belle facce da ebeti in televisione.
Io e Enrico andammo in macchina con Lillo e Giuliano e Dino ci seguirono con la Regata.
Attraversammo il centro di Colonia e la cosa che mi saltò immediatamente agli occhi fu la pulizia delle strade, per tutta la durata del tragitto non vidi una carta per terra.
Lillo era eccitato all’idea di averci ospiti nel suo albergo, e per tutto il tempo non fece altro che ringraziarci dell’aver accettato il suo invito, sembrava un ragazzo molto generoso e, come avremmo scoperto non molto più tardi, dal cuore grande.
Nel frattempo la fame e la stanchezza iniziavano a farsi sentire con decisione.
Arrivammo all’albergo e a dispetto della descrizione di Lillo notammo con piacere che non era affatto modesto ma anzi molto carino e accogliente.
Scaricammo i nostri pratici bagagli ed entrammo nella hall dove ci aspettavano niente popò di meno che Raffaella Carrà, Gigi Riva e Claudio Villa!!!
I loro poster a grandezza naturale troneggiavano sulla parete dietro la reception, mentre una televisione con antenna satellitare (???) trasmetteva il primo canale RAI.
Questi “particolari” erano gli unici che facevano intuire vagamente le origini dei proprietari dell’albergo, che ripeto era molto pulito ed accogliente.
Lillo ci accompagnò nelle nostre camere, erano due doppie con bagno e letto matrimoniale.
Io e Enrico fummo i più veloci ad occupare la prima delle due, non tanto per motivi di comodità, ma soprattutto per non dormire con Dino, si perché leggenda narrava che parlasse anche nel sonno!!!
Posammo le valige e senza neanche disfarle riscendemmo subito nella hall a caccia di qualsiasi cosa fosse minimamente commestibile.
La caccia non durò a lungo, da una porta tipo saloon vedemmo uscire Lillo con un vassoio in cui sul bordo erano ordinatamente disposte delle profumatissime fette di prosciutto crudo ed al centro tre succose mozzarelle.
Nell’altra mano portava il fratello gemello del vassoio appena descritto con sopra un’infinità di piccoli assaggi di antipasti, dalle zucchine, alle melanzane passando per i funghetti e i peperoni.
Sarà stata la fame, ma alcuni di noi ancora oggi giurano che quando Lillo comparve ai nostri occhi con tutto quel ben di Dio, oltre ad avere uno strano alone di luce attorno alla testa, i suoi piedi non toccavano il suolo, ma era come se vi scivolassero dieci centimetri sopra!!!
Mangiammo tutto in un sol boccone, aiutati da una buonissima bottiglia di vino rosso, che unito ad un grappino ci fecero andare a dormire in pace con tutto il resto del mondo.
La mattina seguente ci alzammo tardissimo.
Avevamo dormito profondamente per almeno una decina di ore e dopo una bella doccia scendemmo al piano terra per la colazione.
Dietro il bancone del bar c’era già un sorridente Lillo che ci fece accomodare in un tavolino apparecchiato con ogni sorta di marmellate, biscotti, bricchi contenenti caffè, latte, tè e quant’altro di buono ci potesse essere in una colazione degna di questo nome.
Anche quella mattina Lillo sembrava avere un’aureola…il mistero continuava!!!
Finita la mega colazione decidemmo di andare a farci un giretto in città.
Lillo si fece sostituire al bancone del bar e venne con noi, arrivato alla macchina restò immobile davanti alla targa ROMA e gli occhi gli si inumidirono.
Ci spiegò che per lui, farsi vedere in giro per il quartiere italiano con noi e per di più su una macchina targata ROMA era una cosa di non tutti i giorni.
Giuliano anche quel giorno indossava la maglietta di Gannini e aveva ancora stampato in viso il sorriso felice di un bambino.
Era una giornata bellissima e la temperatura era mite.
Decidemmo di andare a visitare il centro della città che a parere di Lillo era l’unica cosa interessante da vedere.
Dino quella mattina era particolarmente loquace, molto probabilmente il lungo sonno gli aveva restituito le forze per far vibrare fastidiosamente quelle sue cazzo di corde vocali.
Ancora oggi non potremmo mai dimenticarci di quello che fu capace di dire quella mattina a due sfortunate ragazze che gli passarono vicino al finestrino mentre era fermo ad un semaforo.
La scena fu la seguente: macchina ferma al semaforo, Dino al posto guida, verde per i pedoni, due biondine molto carine iniziano ad attraversare la strada, ci guardano (ma soltanto per via della targa della macchina e per via che cinque ragazzi mori e scuri di carnagione a quelle latitudini sono una vera e propria rarità), Dino, imbecille, crede di aver fatto colpo, appoggia il gomito al finestrino e mette fuori la testa con postura e atteggiamento da vero coatto (Tomas Milian non saprebbe fare di meglio) e pronuncia la storica frase “LUCCHET!!!”, il mentecatto forse voleva dire “Look at”….!?!?!?
…..ma anche se avesse voluto dire “Look at”, la traduzione letteraria sarebbe stata “?????” e quindi cosa cazzo voleva dire???
Risultato, le due ragazze lo guardarono rabbrividendo e affrettarono il passo, noi insultammo Dino per l’ennesima volta.
Girammo il centro di Colonia a piedi per tutta la mattinata.
Lillo fece il cicerone e nel frattempo, incalzato soprattutto dalle mie domande, ci raccontò la storia della sua vita e quella della sua famiglia.
Trovai molto più interessante il racconto di Lillo piuttosto che il centro di Colonia, che a parte qualche chiesa e qualche mezzobusto, per il resto aveva ben poco da offrire al turista di passaggio.
La storia di Lillo era il racconto di una vita dura, fin dalla tenera età, la storia di una famiglia povera ma dignitosa, fatta di persone che avevano un forte desiderio di lavorare, forte a tal punto da rinunciare agli affetti più cari, una storia che viveva i sui momenti più tristi sui binari di una ferrovia e dentro il vagone di un treno.
Una volta al mese spediva parte dei soldi che aveva guadagnato ai sui familiari.
Ma la soddisfazione più grossa era sapere che un po’ di quei soldi sarebbero serviti per mantenere gli studi al fratellino, su cui lui proiettava tutte le aspettative di vita che per lui erano rimaste tali.
A volte, ancora oggi, mi vengono i brividi al solo pensiero di quale enorme responsabilità fosse investito il fratellino, a soli quattordici anni, non soltanto doveva portare la pesante e fragile valigia dei suoi sogni, ma anche quella dei sui familiari tutti.
E di solito quel tipo di valigia è la prima a perdersi nel viaggio di una vita.
La storia di Lillo era triste ma allo stesso tempo affascinante, aveva un sapore antico, ma anche attuale, sarei stato ad ascoltarlo per ore, quella storia aveva la voce di Lillo ma la faccia di milioni di italiani.
Tornammo in albergo per il pranzo e anche in quella circostanza Lillo ci sorprese nuovamente servendoci a tavola ogni ben di Dio: antipasti sfiziosi, fettuccine fatte in casa, da due signore italiane sulla sessantina, più larghe che alte, che lavoravano nella cucina dell’albergo e per secondo un carrello con diversi tipi di carne e tre, quattro contorni.
Lillo ci stava viziando più delle nostre mamme.
Anche il pomeriggio lo passammo a zonzo per Colonia e la sera dopo una veloce doccia e una cenetta con i fiocchi andammo con Lillo a vivere la notte, sempre con Giuliano in versione Giannini.
Ci portò in diversi disco pub molto carini, ne ricordo uno in particolare dove già all’entrata c’era una ressa di gente di tutte le razze e di tutte le tipologie.
Motociclisti tatuati con baffi e barbe originalissime, un gruppetto di ragazze orientali (credo giapponesi) molto carine e femminili, molti ragazzi di colore, altrettanti di origini nord-africane, insomma un disco pub multi etnico.
Servivano una birra ottima, su un bancone lunghissimo bagnato di ogni sorta di bevanda.
Era un locale da film, tutta quella gente proveniente da ogni angolo di mondo immersa in una cappa di fumo in cui, a fatica, si faceva largo un amichevole vociare di sottofondo.
Bello, veramente un bel locale.
Mi ricordo che ci passammo tutta la notte, inizialmente a parlare tra noi e poi, quando il tasso alcolico raggiunse il giusto livello, ci sparpagliammo in ogni direzione a fare “pubblic relations” con la gente più strana.
Mi ricordo ancora di una ragazza, con cui mi trattenni a lungo…l’avrei potuta sposare ☺!!!
Quando il locale chiuse, o per meglio dire, quando i proprietari ci buttarono fuori, ci capitò l’ennesima rottura di palle che un gruppo di cinque ragazzi italiani, a quell’ora della notte, in una città straniera e per di più in un quartiere quantomeno “poco raccomandabile”, vorrebbe non gli accadesse mai.
Infatti, proprio mentre stavamo per salire in macchina, ci si affiancò un BMW con un gruppo di ragazzi turchi.
Turchi perché avevano in bella mostra la bandiera del proprio paese appesa al tettuccio della macchina.
Non ebbi neanche per un secondo il dubbio che volessero sapere che ora fosse, anche perché di solito chi fa questo tipo di domande non scende di macchina con in mano un coltello da far invidia ad un macellaio.
Quattro ragazzi, quattro coltelli e, neanche a farlo apposta, erano più o meno le quattro di notte….i misteri della cabala.
La scena che vi sto per descrivere durò poco più di trenta secondi.
foto1Noi cinque di fronte a questi simpatici neo comunitari, che ci mostravano con orgoglio il filo impeccabile delle proprie lame.
Lillo che con molta sicurezza gli si fece incontro e, dalla tasca della giacca, tirò fuori una pistola (ci tengo a precisare che solo in un secondo tempo avrò modo di riconciliare l’idea che mi ero fatto di lui con il fatto che andasse in giro p

er la città con una pistola in tasca, ma vi assicuro che in quel momento fu una piacevole sorpresa, veramente piacevole).
Sempre con molta sicurezza la premette sotto il mento di uno dei quattro, che dall’atteggiamento spavaldo sembrava essere il leader del gruppetto di sfigati.
Con voce molto serena, che contrastava con il sorriso tirato che aveva in volto, Lillo, suggerì ai giovani turchi di andarsi a fare una birra e subito dopo di andare a fare la ninna.
I turchi accettarono volentieri il suggerimento e andarono via, in cerca di una birreria che facesse al caso loro.
Locale da film…..con finale da film!!!
Quello che accadde non tolse l’aureola a Lillo, anzi, mi sembro di assistere alla lotta tra San Giorgio e il drago………..turco!!!
Arrivati all’albergo informammo Lillo della nostra intenzione di ripartire per l’Italia il giorno successivo, era una decisione che avevamo preso la sera quando stavamo nelle nostre camere e che nessuno di noi aveva avuto il coraggio di dirgli fino a quel momento.
Lessi negli occhi di Lillo la stessa tristezza che oggi leggo negli occhi di mia figlia quando gli nego la favola della buonanotte.
Una tristezza pura e sincera come solamente un bambino può provare.
Non stava succedendo niente di grave, o per meglio dire niente che non fosse prevedibilissimo, ma nonostante questo, i suoi occhi si riempirono di lacrime, esattamente come ad un bambino.
Il giorno seguente, fin dal risveglio, avevamo tutti uno “gnocco in gola”.
Facemmo colazione e caricammo i bagagli in macchina nel più completo silenzio.
Ma non erano solo queste le stranezze di quella mattina, in particolare quando Giuliano scese nella hall non indossava più la maglietta del suo idolo.
Il mistero ci fu svelato al momento degli addii, infatti……
Quando i bagagli furono tutti sistemati e quindi non restava altro che salutarci, chiesi a Lillo quanto gli dovevamo per il vitto e l’alloggio e la risposta fu un sorriso che non ammetteva repliche inopportune o insistenze offensive.
Ci scambiammo gli indirizzi e ci salutammo con consapevole rispetto, da uomini.
Giuliano andò incontro a Lillo e, mentre lo abbracciava, gli mise intorno al collo la maglietta e disse:
“Amico mio, io co le parole ce faccio a cazzotti, quindi piate sta majetta e nun fiatà…che se ce ripenso!!!”
Fragola, non mi stancherò mai di dirtelo, orgoglioso di essere tuo amico!!!
Lillo era la felicità in persona, balbettava, rideva, piangeva, mentre si coccolava tra le mani l’azzurro della nostra nazionale.
Io in questi casi ho sempre a portata di mano gli occhiali da sole, li inforcai, montai in macchina e feci il vago.
Mentre ci allontanavamo con la macchina vidi Lillo che ci salutava agitando la maglietta tra le mani, i singhiozzi gli scuotevano le spalle e lo fece fino all’ultimo istante senza la benché minima vergogna.
Si poteva piangere con dignità? Quel giorno lo vidi fare per la prima volta in vita mia.
Il viaggio di ritorno fu contraddistinto dal cambio dei posti in auto.
Giuliano e Dino nei sedili posteriori, Enrico alla guida e io al posto del navigatore.
Cantammo, come degli idioti, Baglioni in tedesco per tutto il viaggio di ritorno.
Da segnalare che al confine con la Svizzera, con nostro immenso rammarico, non incontrammo il nostro carissimo amico Huber, al quale avrei regalato volentieri una sciarpa della Danimarca.
Ricordo anche che sbagliammo strada (figurarsi, con Enrico alla giuda supportato dalle mie indicazioni, è stata una fortuna che siamo riusciti a tornare a casa!!!) e finimmo a Zurigo, praticamente al confine con l’Austria.
Arrivammo a Roma tardissimo, eravamo distrutti, stanchi morti.
Eppure quella notte prima di riuscire a prendere sonno faticai molto e ne approfittai per riporre, con molta cura e il più ordinatamente possibile, tutti i momenti, i personaggi e le emozioni di quel viaggio, nel mio cofanetto dei ricordi.
Il finale decidetelo voi, il mio è questo.
Amici miei, qui finisce il racconto (presuntuoso tentativo) di un semplicissimo viaggio di quattro amici.
Un viaggio che però valeva la pena fare, con amici con cui valeva la pena crescere, incontrando personaggi che valeva la pena conoscere, ma soprattutto………..UNA VITA CHE VALEVA LA PENA VIVERE!!!

Roberto Bongini