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Mi chiamo Schoon, Schoon Molinari.
Sono nato a Grosseto 19 anni fa.
Ieri ho realizzato un sogno, un sogno di una vita.
Ho vestito dal primo minuto di gioco la maglia della mia città, la maglia che porto nel cuore da sempre.
La partita era ancora in bilico ed io ho avuto l’occasione di chiuderla e non me la sono lasciata sfuggire.
Il mio sogno si è realizzato alla perfezione, la porta dove ho segnato era quella proprio sotto la Nord, la curva dei miei tifosi, la curva dove sono cresciuto, la curva dei miei amici.
Subito dopo ho lasciato che tutto andasse dove mi portava il cuore.
Ed allora ho corso, ho corso trattenendo il fiato dall’area di rigore fino sotto la curva e poi fin sopra la balaustra per poterli abbracciare.
Per poterli abbracciare tutti.
Mi sono sentito per la prima volta in vita mia un ragazzo fortunato, non capita a tutti di vedersi avverare il desiderio di un’esistenza.
Tutti i sacrifici che ho fatto fino ad ora sono stati ripagati da un istante magico.
Non lo scorderò mai più, lo porterò con me per tutto il resto della mia vita.
E lo rivivrò e rivivrò ancora per una e cento volte, ad occhi chiusi e ad occhi aperti.
E quel secondo giallo, che mi è costato l’espulsione, resta per me un enigma, ambiguo nella sua utilità educatrice.
Ne io, ne i miei compagni, abbiamo perso tempo con meline o sceneggiate per tutto l’arco della partita, che si è svolta interamente nei binari della correttezza e della sportività.
La mia era solamente pura gioia, di quelle che fanno di questo sport il più bello del mondo.
Il gol, l’esultanza, la corsa sotto la curva e l’abbraccio dei tifosi.
Perché punire l’essenza del calcio?
Perché punire lo spettacolo dentro lo spettacolo?
Perché punire l’ascolto del cuore?
Mi chiamo Schoon, Schoon Molinari e sono un ragazzo fortunato con una manciata di domande che aspettano risposta.

T&GO

Roberto Bongini