Loading. Please wait.

Che cos’è l’emozione se non il rimbombo di un coro che rimbalza tra le mura obsolete del Picchi, così inaspettata da farti vergognare per quegli occhi lucidi, perché in fondo è una partita di campionato e non un play-off strappato da mani rapaci. Già, che cos’è l’emozione se non il trovarsi in uno spazio senza tempo, quando Sforzini piega le mani a De Lucia e pareggia i torti di questa partita, di quella dell’andata, di quella di due anni fa o di tutte quelle che noi percepiamo come torti solo perché la nostra ragione vede solo il Grifone. Seduto sul solito gradino di due anni fa a guardare sventolare il solito cartellino rosso; un deja-vu a preannunciare un finale dal gusto amaro già assaporato; ma chi l’ha detto che non si può scrivere un finale diverso? E adesso chi lo dice che sia questa la rivincita che vogliamo? Troppo facile considerare questo pareggio come il saldo di un credito quando il prezzo in precedenza pagato è stato la distruzione di un sogno; questa è solo un’emozione più forte di altre, da rammentare più di altre ma non è questa che dovrà superare l’urlo di Padova. Ecco che cos’è questa emozione: è ritrovarsi ancora qui, ancora una volta, in una terra così vicina ma sportivamente così straniera. Qui tra la nostra gente rinchiusa tra i cancelli d’uscita arrugginiti e le mura obsolete della curva livornese a cantare le nostre canzoni, consapevoli che quel ricordo non sarà più la solita storia.

Perché il bello deve ancora venire.

Leonardo Culicchi