Non sono “il verbo” e anche se “In vino Veritas”, non lo sarei neppure affogando in una botte di Morellino, ma forse, tutti insieme, potremmo arrivare alla verità ragionando con un paradosso.
Dicasi paradosso: “Affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile.” Come giornalista del mio amico Editore Piffe, meglio conosciuto nel mondo della stampa sportiva come il “Peruviano”, ho il dovere di fare quanto possibile per evitargli una querela, quindi, per spiegare il paradosso, dirò che l’opinione comune del pubblico grossetano è che non esista alcun complotto da parte del Palazzo. Se questa è l’opinione comune, il paradosso su cui ragionare diventa: il Palazzo e Palazzi hanno deciso di farcela pagare cara.
Camilli, in questi anni, è stato per il sistema calcio quello che il Presidente coreano Pyongyang è stato per gli Stati Uniti D’America, ma quando dichiariamo una guerra, dobbiamo conoscere il valore delle nostre forze in campo e ancor più capire la credibilità dei nostri bluff. Nel caso si decida di paragonare l’arbitro a un tumore e come corollario attaccare tutta l’AIA si deve, prudentemente, spendere di più di qualsiasi altra Società cadetta al fine di costruire una rosa con la difesa schierata tra sacchetti di sabbia e cavalli di frisia e là davanti, tanto per rimanere in tema coreano, procurarsi un attacco nucleare. Non contenti, si decida di minare le fondamenta del Palazzo attaccando il sistema calcio, colpevole di bruciare soldi strapagando allenatori e giocatori tra il tripudio di procuratori compiacenti, nel minimo dovremmo fare di tutto e di più, perché gli stessi a cui richiediamo un ridimensionamento, riconoscano in noi perlomeno un’eclatante stima professionale e umana. Magari questa girandola di allenatori non è stata presa dalla categoria come la panacea al precariato, per non parlare poi dei rapporti con i giocatori.
Proseguendo nel paradosso, se siamo in guerra, ritrovarsi partita dopo partita a facilitare il lavoro del nemico, diventa un’operazione da caso umanitario. Tanto vale salire sul primo ponte e sventolare bandiera bianca, perché biancorossa potrebbe far fraintendere al nemico ancora qualche istinto velleitario.
Volendo si potrebbe approfondire l’analisi, ma visto che l’intento non è raggiungere la verità, ma solo dare spunto per alcuni ragionamenti, mi fermo qui, e a tutti i gentili lettori che hanno avuto la pazienza di ragionare con il mio paradosso, paradossalmente chiedo, ma se alla fine questa guerra la perdiamo, di chi sarà la colpa?