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Vado in cucina, faccio colazione con una tiepida tazza di caffelatte e una bella fetta di crostata.
Mi infilo maglietta e pantaloncini, distrattamente.
Metto cura, invece, nello stringere il giusto e annodare i lacci delle scarpe, meraviglioso strumento per correre, progredito veramente negli ultimi anni, e non solo a chiacchere pubblicitarie.
Leggere e morbide, come non averle, quasi sensuali.
Ultimi accessori, occhiali e cronometro al polso pronto per essere azionato.
Mi guardo allo specchio, controllo che tutto sia abbinato bene con tutto, così la mia parte fanatica tace soddisfatta.
Gesti fatti a memoria, ma che ogni volta che faccio mi trasmettono una calma armoniosa con tutto quello che mi circonda.
Quando inizio la corsa tutto torna al suo posto, fuori e dentro di me.
Forse perché correre è un gesto che faccio fin da bambino, forse perché è una delle azioni più naturali e antiche dell’uomo, forse perché è un’azione con una forte carica di indipendenza.
Correre distante, allontanarsi, affrancarsi, liberarsi.
Correre è sinonimo di libertà.
Libertà da tutto ciò che durante le mie giornate mi vincola, impedendomi di essere completamente me stesso.
Correre vuol dire darmi la possibilità di fare una scelta che mi somiglia.
Mi somiglia fin da quando ero bimbo.
La stessa sensazione che provo quando entro allo stadio.
In quella curva che non mi obbliga a vestire panni non miei.
Su quei gradoni dove torno a sentirmi a mio agio.
In quella curva piena di quella “maremmanità” di cui il mio vissuto quotidiano è maledettamente carente.
Per quello sport che amo e per cui è una vita che mi sbuccio le ginocchia.
Correre, correre, sempre più lontano, con il cuore che rimbomba nelle tempie e il respiro che mi da il ritmo.
Gocce di sudore mi rigano il corpo.
Piacevole fatica e sofferenza gratificante.
Poi tutto finisce su un traguardo vero o simbolico non ha importanza, per poi, ricominciare subito dopo con un altro obiettivo.
Un po’ come il calcio.
Un po’ come la vita.
Ecco perché stare dentro quelle scarpette o tifare su quei gradoni, è dannatamente importante per me.
Torno a sentirmi libero, torno ad essere me stesso, lontano da tutto.
In questa corsa dove non esistono vincitori e sconfitti.
In un luogo dove non esistono retrocessioni.
Io, le mie scarpe e la mia sciarpa, bagagli leggeri per il viaggio più bello.
Un viaggio chiamato vita.

T&GO

Roberto Bongini