Viterbese-Castrense 42, Rieti 42, Grosseto 41. Serie D, Girone G, Stagione 2015/2016. Siamo alla 20esima giornata, ne restano da giocare altre 14. Consultate Televideo, collegatevi ad internet o acquistate qualsiasi giornale, la situazione è questa e non cambia. Questa è, senza ombra di dubbio, la fotografia che congela la metà, più qualcosa, di questo impegnativo ed appassionante campionato dilettantistico. Fin qui nulla da obiettare: il neo Grifone targato Pincione è li a darsi da fare, nella mischia, sgomita e rantola per occupare l’agognata vetta, tra realtà di provincia che respirano campi sintetici e lisi dove essere “capoluogo” è già un valore aggiunto ed avere tifosi in trasferta un lusso che quasi nessuno può permettersi.
Eppure qualcosa non va. La pancia dello “Zecchini” si sente brontolare a distanze diverse. Migliaia di km, quelli che dividono il neo Presidente dalla sua creatura, o poche centinaia di metri, quelli tra Via Veterani dello Sport e le strade o le piazze grossetane, dove i tifosi parlano, si confrontano, si schierano. Esposti all’attenzione opprimente di popolo e dirigenza ci sono, sostanzialmente, due numeri: 45 e 27, le reti fatte e quelle subite. Il 45 piace, ammalia, spinge il sonnecchioso tifoso maremmano a uscire di casa la domenica pomeriggio ed andare allo stadio perché finalmente “si diverte”, per mano con il suo ritrovato entusiasmo. Il 27 stona decisamente e pone profondi interrogativi. Soprattutto se paragonato al 15 che va invece di moda nelle zone della Tuscia e della Piana Reatina.
Che poi, diciamoci la verità, 45 e 27, presi insieme, non stanno nemmeno male perché seguendo le leggi inopinabili della matematica spicciola restituiscono un discreto +18, che non stona sicuramente con il +15 di Rieti, forse un po’ di più con il +24 di Castro. Ma senza fare drammi.
E invece i drammi, o quasi, ci sono, fanno capolino in modo altalenante, non si riesce a scacciarli mai in modo definitivo e mettono in bilico una delle poche certezze che la piazza grossetana aveva abbracciato e coccolato sin dagli ultimi giorni di un infuocato Agosto: Domenico Giacomarro. Lui, già centrocampista di esperienza, allenatore di calcio dal lontano 1996, condottiero di questo grifone d’assalto italo-tosco-arabo-americano. Il nostro Domenico è abile conoscitore della categoria, preparato, diretto, schietto, gran lavoratore, amato dai giocatori e dai tifosi, scelto dalla proprietà per tutti questi motivi più uno: è compatibile con il “brand” Grosseto (un giorno qualcuno mi spiegherà cosa significa). Lui è il principale indiziato di quel 27. Eppure, guardando indietro nella sua carriera, a fine campionato ‘12/’13 aveva collezionato un modesto 37 a Termoli (finì 2°), addirittura un 28, sempre a Termoli (3° posto finale) l’anno successivo e un forse più sospetto 46 a Potenza nel biennio ‘14/’15 (ancora 3°).
Rimane da decidere cosa fare. Mi sembra evidente che l’assetto pseudo-buonista del “pensiamo come eravamo messi a Agosto” non regge più. La proprietà ha fatto investimenti importanti e non si esime dal sottolinearlo. Si da o si è dato tanto e ora si esige, non fa una grinza. Carta bianca al Mister, giocatori che del dilettante hanno poco, organizzazione, disciplina e volontà di crescere. Il sipario si è sollevato e Pincione non ha lasciato spazio a dubbi o interpretazioni: il campionato deve essere vinto. Tutto ciò mi eccita e mi impaurisce allo stesso tempo. Il mio lato “tifoso”, che non è propenso a vivere coi piedi per terra, viene enfatizzato e istigato: voglio andare in Lega Pro, poi in B, poi chissà…e voglio farlo nel minor tempo possibile. Il mio lato più riflessivo guarda tutto con più pragmatismo: siamo una squadra giovanissima, abbiamo tempo, fondiamo delle solide radici e poi ripartiamo, facendo tesoro degli errori e costruendo un futuro più solido. In fondo ci stiamo tutti conoscendo un po’ e sicuramente non può farci che bene. E ancora: se questo campionato non dovessimo vincerlo cosa succederà di nuovo ad Agosto? Ho paura delle reazioni di chi ha troppa foga, siano tifosi o dirigenti, di chi sembra non ammettere repliche, dando forse troppo per scontato.
Ci sono ben poche certezze su cui far leva ma fortunatamente io faccio solo il tifoso e non spetta a me, o ad altri, decidere se “sacrificare” o risparmiare qualcuno. E noi tifosi siamo una razza strana, divisa ed unita per antonomasia, sentimentale e cinica, clemente e spietata. Solo una cosa ci rende tutti più docili ed affettuosi: la vittoria. Siamo un popolo e come tale andiamo condotti, nel bene e nel male, in salute e in malattia. E per far questo, a chi decide di candidarsi nel ruolo difficile ma entusiasmante di condottiero, servono un paio di cose prima di tutto: personalità e carattere. Per questo Max mi rivolgo a te, in tono amichevole e un po’ americano, che vieni dalla terra di un idioma dove il “lei” non esiste e la gente si parla guardandosi negli occhi: personalità e carattere non ti mancano, di questo ne sono certo. Stai più con noi, guardaci, scrutaci, parlaci. Fai tesoro della nostra realtà e decidi, di pancia o di testa, senza lasciarti influenzare e senza paure immotivate. La scelta è solo tua, le altre saranno solo reazioni di riflesso, per quanto importanti. Hai questo privilegio, devi riuscire a trovare il modo di farlo fruttare e crescere. Tutte queste cose, però, falle in prima persona, senza accettare ingerenze.
Gli allenamenti continuano, con la solita dedizione, cura e passione. Difficile tornare indietro ma anche difficile credere che continuando così il prossimo anno giocheremo in Lega Pro. Se sei davvero convinto che sia il caso di percorrere fino in fondo questo ultimo, fatidico, miglio, per colpe di supposta ottusità o incapacità, è giusto andare avanti piuttosto che cercare di plasmare il carattere di chi, per natura, è fiero e riconosce il proprio valore. A Grosseto siamo abituati da anni alle “esecuzioni”, fanno impressione ma durano solo pochi secondi, poi torna la quiete di sempre: e con la quiete, è risaputo, tutti si aspettano anche il sereno.