Loading. Please wait.

L’ammaraggio sul “Rocchi” di Viterbo non è stato morbido. Pioggia a parte. Il signore osserva gli accrediti, ci conduce in tribuna indicando due poltroncine nella parte bassa del settore. “Siamo una radio, occorre stare al coperto e magari una presa di corrente” specifico cercando qualche approvazione nel volto dell’accompagnatore. “Chieda a qualcuno nella parte superiore” risponde mentre si allontana. In alto tutti i colleghi di Grosseto stazionano davanti alla porta chiusa a chiave di un box. “Hanno detto che dobbiamo metterci qui dentro” mi spiegano. Siamo in sette, sono circa le 14. Dopo ci viene detto che siamo all’ultimo box. Apriamo, ci salutano tre sedie, due prese di corrente. Stop. Il muretto che ci separa dal tifo locale diventa la preziosa scrivania dove alloggiare i pc, stendere fogli e penne. Sono circa le 14,10. Quindi il pensiero arriva alle formazioni non ancora in nostro possesso. Esco, chiedo, apro porte. La risposta è una sola: “Finite, sono state consegnate a tutti”. Tutti? Sono le 14,18. Se ne intravede una, scattano le foto dei cellulari, di corsa nel box a trascriverle. Sono le 14,25. Quasi davanti si vede la curva ospiti ricca di biancorosso, tifo e calore il campo si guarda in diagonale. Piove, il campo è una risaia tipo Vietnam, il lago sotto la tribuna ricama il panorama, manca la barca e la canna da pesca. Non c’è bisogno di parlare all’interno del box, adesso si lavora, nessuna polemica, nessun reclamo, nessuna parola di troppo. Questione di esperienza accumulata in ambienti molto più in alto. La stranezza, forse unica in Italia, è che l’uomo che ci ha dato per esempio Marassi, San Paolo, Dall’Ara, adesso è avversario in serie D. Ma la gara inizia allontanando quesiti ancora senza risposte certe, assopendo sensazioni non ancora sopite. Il popolo del Grifo canta alle nuvole, asciuga il Rocchi, riscalda occhi e anime. Sono in tanti, sono davvero tanti. Bagnati, zuppi, gocciolanti, sicuri del loro compito, saldi nel loro credere alla maglia. In campo nascono scie d’acqua, spruzzi di fontane, le rive del lago si allargano, Lavopa rischia di sparire nei flutti. Invernizzi indovina il buco insaccando la sfera dal basso in alto. Al contrario della pioggia incessante, al contrario dell’amore per la maglia, l’orgoglio e la voglia di esserci. Ma il popolo non abdica, anzi moltiplica la sua presenza come l’acqua ormai a livello di guardia. Dal box tutto quel biancorosso addolcisce lo spirito, spiana la delusione dell’accoglienza, fa sorgere il sole. Olivieri da fuori area non c’entra la porta, Nappello si fa respingere il pallone. Tanto Grifone nella ripresa, tanto e bravo nel costruire azioni palla a terra sulle acque, nel comprimere i bianchi nei loro territori, nello spingere con forza e caparbietà. La sfera colpisce un braccio vestito di bianco in area, la terna di Fermo resta ferma ad ascoltare la voce unisona del settore ospiti, che benedice la loro non decisione. Finisce qui. Dall’ammaraggio al decollo dal Rocchi, sconfitti ma consapevoli che quella gente non fa mai distinzioni tra Marassi, San Paolo e dall’Ara e Viterbo in serie D. Dove c’è il Grifone c’è sempre il sole.

Giancarlo Mallarini