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4 Settembre 2016, ore 14:30 circa, stadio “Carlo Zecchini”, un anno dopo: tutto è cambiato, si è diametralmente ribaltato, materializzandosi in modo opposto a quello che fu. Un solo anno dopo il tonfo mortale dell’U.S. Grosseto 1912 a cui fece seguito la mistica apparizione dei salvatori di oltreoceano che plasmarono il sogno dell’FC. Possibile che in un solo anno calcistico, terminato con un secondo posto alle spalle della formazione rivelatasi la più competitiva tra tutte quelle della Lega Nazionale Dilettanti italiana, sia successa una catastrofe calcistica di tale portata? I fumogeni che solo un anno fa si accendevano in curva a coronamento di un tifo vero e sfegatato ora rendono l’aria irrespirabile arrivando fin nella tribuna dove siede il Presidente. Proprio lui, l’uomo acclamato come il salvatore della Patria, il profeta del “ritrovato entusiasmo”, colui che aveva liberato la tifoseria dalle despotiche angherie dell’era camilliana, ora viene cercato con occhi iniettati di sangue da chi lo chiamava amichevolmente “Max” e se lo ritrovava seduto accanto nel settore ospiti di qualche anonimo stadio di qualche anonimo comune del centro Italia.

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La società aperta a tutti, lo stadio dei tifosi, la casa dei grossetani con tanto di pareti ritinteggiate si è trasformata in un solo anno nella roccaforte del nemico. Al di là delle inferriate che la proteggono c’è gente arrabbiata e offesa che ringhia contro chi ritiene responsabile di un oltraggio irreparabile ad un popolo e ad una città intera. E dentro? Dentro lo Zecchini c’è un clima ovattato e surreale dove scorrazzano adolescenti americani che parlano un idioma lontano anni luce dal maremmano verace e sfoggiano magliette biancorosse così intonse e ben stirate che verrebbe da chiedergli il nome della lavanderia a cui si sono rivolti. Veri e appassionati come le sagome di cartone del “Nereo Rocco”. L’erba soffre, è gialla e riarsa e la Curva Nord non ha confini, è una macchia grigia senza anima e colori, muta e inerme. Chi è entrato è scosso, distratto, turbato da un ambiente che non riconosce fino in fondo. Cerchiamo di darci tutti un tono, di appassionarci al calcio giocato, di far finta che l’atmosfera sia quella d’inizio campionato ma non è così. Gli occhi e le orecchie non riescono ad abituarsi a quello che si vede e che (non) si sente, mancano l’anima del Grifone e manca la sua gente. Il tifo è di nuovo spaccato in due tra chi sta dentro e chi sta fuori, tra chi ha deciso di esserci comunque e chi giura che a queste condizioni non ci sarà più. Una disputa sterile dove, a parer mio, non esistono torti o ragioni ma solo sensazioni che ognuno vive a proprio modo. Sterile come la guerra che si è creata tra la Società e la città da cui non potranno mai uscire né vincitori né perdenti.

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In mezzo c’è solo un Grifone disorientato, undici maglie biancorosse che cercano di fare il loro (a tratti riuscendoci anche), provando a catalizzare interesse e attenzione sulla partita. Su di loro e su Mister Agovino c’è il peso di centrare due obiettivi in un colpo solo: uccidere il campionato e far tornare la gente allo stadio semplicemente per vederli giocare a calcio, vincendo. A meno che con il tempo non maturi la volontà di provare a parlarsi e a capirsi da più parti credo che il primo obiettivo sia altamente più probabile del secondo. Allora avanti ragazzi, non siete soli, una città intera vi tiene gli occhi addosso, una tifoseria capace di tanto, nel bene e nel male, e con un cuore grande così. Nel nostro stadio come in ogni altra parte d’Italia voi siete il Grosseto e mai come oggi avete l’opportunità di dimostrare che il calcio, quello vero, fatto di emozioni e sudore, è della gente comune e a loro, solo a loro, deve essere riconsegnato con tanto di scuse e onori. Ci sarà sempre chi starà fuori e chi starà dentro ma non ci sarà mai nessuno che sarà contro di voi se metterete animo e cuore in quello che state facendo. La posta in palio è alta, altissima, ma fateci innamorare di voi e noi, ognuno a proprio modo, non vi lasceremo mai soli.

Giacomo Spinsanti

One thought on “Chi sta dentro e chi sta fuori

  1. Se la squadra fosse vincente, quelli che sono rimasti fuori e hanno un po’ di logica dovrebbero continuare a restare fuori, dal momento che hanno detto che questa squadra non li rappresenta ( non li rappresenta nel bene e nel male )

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